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Frammenti di una Quarta Roma  - estratto

di  Marcello Fiori

 

Le città si raccontano attraverso le loro forme, il reticolo infinito di strade, palazzi, piazze e giardini, statue e lampioni, scorci di cielo e di luce che ne esaltano i vuoti o enfatizzano la maestosità di certi volumi. Una teoria enigmatica di dettagli che si deposita nella memoria e che lì trova la sua ragion d’essere, svela i suoi significati. 

Sono pietre e ricordi tenuti insieme da uno sguardo.

E lo sguardo di Massimo Valentini è uno sguardo particolare, attento, penetrante e sempre pervaso da un amore incrollabile per questa città.

Poche immagini come le sue raccontano la disperata ricerca della bellezza in un’epoca di abbandono e di solitudine come quella che i cittadini di Roma stanno vivendo. 

Le sue foto, in cui la presenza dell’essere umano sembra essere marginale, relegata a un’ombra, a un anonimo passante, al nero di un abito da parroco, a un riflesso appannato su una vetrina, ci raccontano la condizione del cittadino metropolitano. Ma la sua non è una fotografia di denuncia tantomeno esplicativa del disagio sociale che percorre le grandi metropoli.

Le immagini sembrano essere attraversate da un doppio filone narrativo, due chiavi di interpretazione che a volte si sovrappongono: i frammenti di una città nuova che attraverso geometrie e architetture cerca una sua identità contemporanea e le contraddizioni della difficoltà di tenere insieme “il peso” e la bellezza dell’eredità di un immenso patrimonio storico, con la possibilità di conservarlo adeguatamente e, in modo coerente, farlo convivere con la città di oggi.

Massimo Valentini ci propone un punto di vista, una chiave di lettura: frammenti di una città dentro mille altre città, tessere di un puzzle che solo il sogno di una quarta Roma potrebbe ricollocare in un modo ordinato, logico, ricco di senso in un mosaico che definisce una nuova idea di città. Ecco servirebbe una idea, una visione di cui, per ora, non si intravede la genesi.

Memoria e innovazione, archeologia romana e archeologia industriale, costruzioni cristiane ed edifici del Regno, pianificazione razionalista e disordine dell’abusivismo: la Roma che emerge è tutto questo e molto altro.

Le immagini non sono, né vogliono essere, un catalogo né una enciclopedia di una nuova Roma. Non sono fotografia di “architettura”, almeno nel senso tradizionale del termine. Non contengono l’intenzione descrittiva o peggio apologetica del grande architetto o di qualche corrente o accademia. 

Queste immagini, piuttosto, si incastrano tra loro come brani di un racconto, offrono ritmi e dettagli, danno voce a protagonisti muti e presenti, dentro la quotidianità della metropoli. E sono come la scrittura contemporanea: sincopata, spezzata, contaminata dal sovrapporsi continuo e disordinato dei diversi linguaggi.

Caos di un racconto spezzato generato da contaminazioni linguistiche e silenzio di profonde geometrie interiori: in questo contrasto è la loro bellezza, la loro originale poesia. 

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